pesca incamiciata, un soffio di piacere.


Ci sono forme d’arte che non sono l’espressione materiale dell’artista, bensì è l’artista stesso ad essere arte.
Ci sono storie di arte e di artisti che mi emozionano profondamente.

L’artista Marina Abramovic, vera icona della performance art, si è autodefinita “Grandmother of performance art”: il suo lavoro esplora le relazioni tra l’artista e il pubblico e il contrasto tra i limiti del corpo e le possibilità della mente.

Un altro esponente della performance art era Ulay (Frank Uwe Laysiepen), la sua opera si basava sulla relazione tra corpo, spazio e società.

Marina e Ulay si sono amati per dodici anni, nove dei quali d’intenso lavoro creativo; negli ultimi tre fu necessario separarsi per realizzare quella che fu la loro l’ultima “performance”. Scelsero la grande muraglia cinese, partirono dalle due estremità e si ritrovarono a metà strada. Il progetto artistico fu completato con successo e loro si ritrovarono alla fine del cammino, avrebbero dovuto sposarsi il giorno dopo in un tempio buddista.

Un incontro che Lui definisce strano “due stranieri che s’incontrano, si abbracciano, sconosciuti uno per l’altra”.
Lei che l’ascolta ammutolita, realizza l’infelicità di essersi ritrovati e piange. Ulay le confessa di avere già una nuova relazione: tutto era finito. Marina era devastata, si sentiva come amputata dei suoi arti, una metafora che rende chiara l’identificazione in quel rapporto in cui erano tutt’uno.
Ulay non c’è più.

Come un soffio, tutto finisce.

Dedicato all’amore, a chi ama per amare e a me che amo l’arte, i dolci e qualche volta le pesche 😀

 soffiato alla pesca e salsa di caramello mou

soffiato alla pesca

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gamberi e fegatini di pollo, il confine sottile


Anche nelle giornate piovigginose si possono apprezzare panorami surreali come questi di oggi.

In poche ore lo scenario muta, i colori che definivano l’orizzonte si attenuano, il confine tra mare e cielo quasi non si percepisce. A dare consistenza a questa nebbia apparente c’è lei, la vela solitaria e lenta come questa giornata uggiosa.

“e le mie braccia divennero ali,
quando mi chiese – Conosci l’estate –
io, per un giorno, per un momento,
corsi a vedere il colore del vento”. (De Andrè)
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un panino che sa osare


Il panino, inteso come merenda o sostituto di un pasto, per me ha un valore sentimentale che si lega ai ricordi della mia vita a Cagliari.

Se qui a Roma è tradizione  consumare la pizza a taglio in qualunque momento della giornata, a Cagliari si preferiva lo spuntino serale. Di conseguenza i locali iniziavano la produzione di pizza (limitata e tre gusti: rossa al pomodoro, con mozzarelle, ai funghi) e panini dalle cinque del pomeriggio.

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paccheri alla ciliegia


Il clima di quest’anno ha influenzato le colture e sui banchi del mercato sono in bella mostra ortaggi che normalmente si raccoglierebbero nei prossimi mesi; alcune verdure non hanno maturato il loro caratteristico sapore, ma sembrano promettere bene.

Il frutto che aspetto con impazienza è la ciliegia che al contrario della mela, a mio parere,  è il frutto peccaminoso, tentatore più del serpente nell’eden e così versatile in cucina.

Il mio babbo aveva due ciliegi sui quali fino all’età di settant’anni si arrampicava per cogliere i frutti. Giugno per me era il mese dell’amore, babbo rientrava con le ceste cariche dei piccoli frutti rosso purpureo e mi appendeva i piccioli alle orecchie, poi li intrecciava formando una collana intorno al mio collo. Ero innamorata di quei gesti, dei frutti e di mio padre.

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